Bioterapia Nutrizionale nei tumori primitivi e secondari del fegato
Dott. Antonio Sbardella
Roma
ABSTRACT
Il carcinoma epatocellulare è una delle forme di cancro più diffuse. E' particolarmente presente nell'Asia Sudorientale, dove la contaminazione degli alimenti da aflatossina B1 e l'infezione da virus dell'epatite B sono comuni. Questi due fattori sembrano correlati allo sviluppo del carcinoma epatocellulare (HCC). In Italia, l' HCC è stato correlato all'infezione cronica da virus dell'epatite C. Negli Stati Uniti si contano ogni anno seimila-novemila nuovi casi di HCC, in Italia circa 4200, con un incidenza maggiore nel sud Italia.
Il gene p53, situato sul braccio corto del cromosoma 17, è il gene soppressore del tumore. Ha un ruolo importante nell'induzione all'apoptosi ed è abbastanza comune la presenza di sue mutazioni o delezioni nei portatori di HCC. Da alcuni studi si è arrivati a correlare l'aflatossina B1 alla mutazione di questo gene, che si realizzerebbe con una inversione G/T. Dal punto di vista epidemiologico si reperta comunemente tale inversione nei malati provenienti da Africa, Messico e Cina, aree dove la contaminazione dei cibi con aflatossina B1 è maggiore. Viceversa, nei soggetti provenienti da Europa, Stati Uniti, Hong Kong e Giappone quest'inversione è rara, perché i cibi, in queste regioni, hanno una contaminazione con aflatossina B1 bassissima o inesistente. E' estremamente interessante, a nostro parere, che col passare degli anni, in campo oncologico, si punti sempre più l'attenzione sulla qualità di ciò che mangiamo e che da più parti giungano, ormai, allarmi crescenti sui rischi che alimenti a vario titolo "pericolosi", possono comportare per la salute umana. Allo stato attuale, per i malati di HCC esistono diverse possibilità terapeutiche. La resezione chirurgica rimane il fondamento del trattamento per la maggior parte dei pazienti con carcinomi epatocellulari insorti in un fegato non cirrotico o in pazienti con cirrosi stabile di Child-Pugh di classe A o B. L'invasione vascolare, definita come permeazione dei vasi linfatici o della vena epatica e/o della vena porta da parte delle cellule maligne, è il più importante indicatore di sopravvivenza secondariamente alla resezione. Altre opzioni terapeutiche sono costituite dall'ablazione locale (con radiofrequenza, alcool, ecc.) per tumori di dimensioni modeste, e dalla chemioterapia sistemica o arteriosa nei casi di carcinoma avanzato. Controverso è, invece, il ruolo del trapianto.
Dal punto di vista Bionutrizionale il trattamento di questi pazienti ha buone potenzialità nella gestione del loro metabolismo. Nella maggior parte dei casi, le difficoltà più insormontabili che il terapista incontra sono dovute ai danni provocati (in passato più di oggi) dalla chemioterapia. Infatti, a meno che la patologia non sia così avanzata da ridurre le capacità funzionali del fegato al minimo, è raro che il paziente non risponda affatto ad un trattamento nutrizionale mirato. Nella relazione si descriveranno sinteticamente le linee guida principali cui è necessario attenersi per sostenere e coadiuvare questi "difficili" pazienti, tenendo conto che spesso il margine disponibile è piuttosto esiguo.
Ci preme sottolineare, infine, che si vuole descrivere il trattamento nutrizionale non solo come un atto che debba limitarsi a non nuocere, ma anche e soprattutto come un presidio terapeutico che non è, ovviamente, in grado di agire sul cancro ma sulla componente funzionale del distretto colpito e dell'organismo nel suo insieme.