Vulvodinie

Print Friendly, PDF & Email

Ospedale S. Carlo Borromeo
Milano - 13 ottobre 2006

La vulvodinia in un'ottica inter-pluridisciplinare

Aspetti nutrizionali: il ruolo del metabolismo nella vulvodinia
Dr. Antonio Sbardella

Introduzione

Solitamente si è portati, in presenza di un disturbo di una certa entità, ad escludere determinati alimenti dalla dieta. E' un comportamento in parte istintivo, in parte dettato da verifiche dirette del paziente e in parte da consigli del medico. Sono atti dettati dalla convinzione, ovviamente fondata, che l'uso improprio degli alimenti, in certe condizioni, possa nuocere. E' però altrettanto vero che gli alimenti utilizzati in maniera appropriata e correttamente associati sono in grado non solo di non recare danno ma anche di portare beneficio per determinate patologie.

L'alimento può curare.

Piuttosto utile è il supporto metabolico e biochimico che si può fornire ad una paziente in trattamento per vulvodinia.

Bisogna considerare alcuni aspetti di base: la terapia della vulvodinia prevede, a seconda dei casi e dei protocolli, l'uso di antidepressivi triciclici, miorilassanti, analgesici, anestetici, antinfiammatori, antibiotici in caso di necessità e altro ancora. Questi farmaci, se da un lato aiutano a guarire dall'altro possono avere un impatto negativo sull'organismo talmente evidente da creare essi stessi problemi, il più delle volte per la loro tossicità; le pazienti con vulvodinia possono avere uno stato emotivo alterato proprio a causa della patologia e dei suoi disturbi, a volte pesanti: ci sono alimenti che possono peggiorare e altri che possono migliorare il quadro da questo punto di vista; molto spesso abbiamo abitudini alimentari sbagliate che possono peggiorare alcuni effetti collaterali dei farmaci.

Discussione

Il primo punto riguarda la gestione dei farmaci da parte dell'organismo. Qualunque sostanza chimica venga introdotta nell'organismo, questi la considera tossica e quindi si attiva per trasformarla chimicamente e renderla eliminabile nel modo più rapido e completo possibile. Ciò vale per i farmaci, per gli additivi presenti in una gran quantità di alimenti e per l'alcool, che pur non essendo sostanza chimica viene trattato allo stesso modo.

Gli organi principalmente coinvolti in quest'opera di "pulizia" sono: fegato, reni, intestino. Il fegato è la "centrale chimica" che deve trasformare le molecole tossiche ed è quello che, in qualunque terapia, sostiene il più delle volte il carico di lavoro maggiore. La via metabolica più spesso impiegata per la trasformazione di queste molecole è quella delle MAO (Mono Amino Ossidasi) che è una sorta di percorso comune nel quale tutte queste sostanze finiscono una volta introdotte nell'organismo. Ciò spiega perché, ad esempio, l'assunzione di alcool contemporanea ad alcuni farmaci potenzia l'effetto di questi ultimi. Il fegato ha bisogno, per lavorare, di glucosio, cioè zucchero. I carboidrati sono il carburante grazie al quale la cellula epatica può alimentare i suoi sistemi enzimatici fornendo loro l'energia necessaria a farli funzionare. Un fegato che funziona correttamente consente un'eliminazione ottimale delle sostanze tossiche.

I carboidrati ( o glucidi) sono sostanze "ternarie", composte, cioè, da carbonio, idrogeno e ossigeno. Negli animali queste sostanze sono rappresentate essenzialmente dal glucosio e dal glicogeno che è la sua forma di riserva. I carboidrati hanno una duplice funzione, energetica e plastica: energetica perché, come noto, forniscono energia all'organismo a qualunque livello funzionale, plastica perché pur non ricoprendo un ruolo diretto nella costruzione delle proteine, entrano nella costituzione di strutture essenziali per gli organismi viventi (acidi nucleici, glicolipidi cerebrali, scheletro carbonioso degli amino acidi non essenziali, etc.). In condizioni di introito insufficiente, l'organismo tende a preservare l'equilibrio degli zuccheri utilizzando proteine. Se la situazione persiste, l'utilizzo di proteine viene molto rallentato, per evidenti ragioni, e si attivano meccanismi di ossidazione lipidica e produzione di corpi chetonici (molecole piuttosto tossiche per l'organismo) che l'organismo, giocoforza, si adatta ad utilizzare per il proprio rifornimento energetico. In conseguenza di queste considerazioni, risulta evidente che un adeguato consumo di carboidrati impedisce l'instaurarsi di una chetosi, che è una condizione certamente da non favorire. Inoltre si ottiene un sensibile risparmio di proteine. I carboidrati hanno quindi anche una indiretta attività anabolizzante che rappresenta una vantaggiosa caratteristica per gli sportivi o per chiunque svolga attività muscolari di un certo impegno. In generale, l'apporto di carboidrati deve aggirarsi intorno al 55-60 % dell'energia totale per un individuo adulto, in buona salute e che svolga una normale attività lavorativa.

Da ciò si capisce che un regime alimentare in cui gli zuccheri (pane, pasta, frutta, cereali, patate e quant'altro) siano banditi o quasi, è dannoso, oltre che in condizioni normali, ancor più in corso di una qualsiasi terapia farmacologia. Un fegato che viene messo in crisi per scarsa disponibilità di energia, non depura bene il sangue non eliminando sostanze che restano in circolo e che possono creare danni anche seri nel tempo.

Il primo distretto fortemente glucosio-dipendente è quello cerebrale. Il neurone possiede la capacità di sfruttare gli zuccheri ma non possiede riserve di glicogeno quindi, a conti fatti, è anche lui strettamente dipendente dai valori di glicemia. Inoltre, se la glicemia non è corretta, anche l'approvvigionamento di ossigeno e di altre molecole, a livello cerebrale come altrove, può subire delle alterazioni perché il globulo rosso non è in grado di funzionare correttamente. A sostegno di quanto appena detto dobbiamo ricordare che l'utilizzazione dei carboidrati è rilevante anche ad un altro livello che non sempre è tenuto nella giusta considerazione, quello degli scambi tissutali. Il globulo rosso, infatti, che è la cellula deputata a svolgere molti di questi scambi nei distretti periferici, dipende strettamente da adeguati valori glicemici, in mancanza dei quali gli scambi periferici subiscono certamente un'alterazione del loro normale funzionamento. Può apparire paradossale utilizzare una cellula molto penalizzata energeticamente per svolgere un compito così vitale, ma la Natura non a caso ha selezionato, per trasportare l'ossigeno, una cellula che l'ossigeno non lo sa più utilizzare e che quindi può garantire il massimo approvvigionamento possibile a livello periferico. I carboidrati, riassumendo, rappresentano la fonte di energia principale per molti organismi viventi, compreso l'essere umano.

Premesso ciò, commetteremmo un grossolano errore di valutazione se pensassimo agli idrati di carbonio in termini di semplici calorie da dosare in funzione delle necessità e delle abitudini di vita di ciascuno di noi. Infatti gli zuccheri non sono, per cominciare, tutti uguali ed inoltre molto spesso non li assumiamo allo stato puro ma combinati con molte altre sostanze. Ciò li rende molecole dalle possibilità di utilizzazione enormi sia in condizioni di benessere che in patologia.

A semplice titolo di esempio vediamo un momento quali organi o apparati utilizzano le maggiori quantità di zuccheri di cui l'organismo dispone ed in quali momenti nelle 24 ore. In realtà tutti gli apparati del nostro organismo utilizzano gli zuccheri, compreso lo scheletro, ma il "fruitore" primo è certamente il cervello insieme ad altri tessuti quali il sangue (come già detto), il tessuto muscolare (compreso il miocardio) ed il fegato. In particolare i muscoli avranno il loro consumo maggiore durante le ore di attività, certamente non durante il riposo notturno, così anche il cuore al quale giungerà una richiesta inferiore di sangue non solo dai muscoli ma anche dal metabolismo in generale. Il fegato, invece, pur essendo impegnato notevolmente durante il giorno sia dalla digestione che dalle altre funzioni metaboliche, svolge buona parte del lavoro durante la notte e questo spiega come un fegato in disordine sia spesso responsabile di risvegli notturni o di notti di sonno disturbato che non lasciano al mattino la sensazione di aver riposato.

È interessante partire proprio dal fegato per descrivere l'utilizzazione, dei carboidrati. L'epatocita, cellula estremamente attiva, svolge una quantità enorme di reazioni chimiche la gran parte delle quali richiede energia per potersi svolgere. Dal momento che la cellula epatica deve comunque portare a termine queste reazioni è necessario, per non metterla in crisi, che abbia un sufficiente approvvigionamento di zuccheri. Il dispendio è quindi notevole. Se l'organo non è sufficientemente rifornito o se il suo stato clinico è tale da creare delle difficoltà al suo normale funzionamento, il paziente riferisce di avvertire cefalea, senso di bocca asciutta, sonnolenza post-prandiale, sonno notturno disturbato (con risvegli tra l'una e le tre), possibile comparsa di emorroidi, sintomi che potrebbero erroneamente guidare verso un importante aggravamento epatico o una iperazotemia. Spesso è sufficiente fargli mangiare una fettina di limone con dello zucchero sopra per risolvere, almeno temporaneamente, questa sintomatologia. L'uso del limone è dettato dal suo notevole contenuto in acido citrico che attiva il metabolismo ossidativo della cellula epatica consentendole di produrre l'energia necessaria mentre lo zucchero fornisce il materiale da cui ricavare quest'energia. Ma la principale fonte di carboidrati nella nostra alimentazione è rappresentata dai farinacei in generale e dalla frutta, anche se quote tutt'altro che irrilevanti di zuccheri sono presenti sia nelle carni che nelle verdure che nei legumi.

Abbiamo detto che i carboidrati non sono tutti uguali. La disuguaglianza sta in primo luogo nella diversa velocità con cui questi vengono ceduti al sangue. Gli zuccheri semplici sono quelli più rapidi ad entrare in circolo quindi quelli in grado di sollecitare maggiormente la risposta insulinica delle cellule beta del pancreas. Questo ci dice che sono poco utilizzabili in individui che abbiano dei disturbi della regolazione glicemica. Parliamo degli amidi pressoché puri contenuti nelle patate e nel riso, nell'orzo, nel farro, degli zuccheri contenuti nella frutta, del glucosio in generale sia da solo che aggiunto nella preparazione delle marmellate o dei dolci.

Anche il pane e la pasta contengono un'elevata quantità di amidi ma contenendo anche glutine (che è una proteina) vengono ceduti al torrente sanguigno con maggiore lentezza, evitando così d'impegnare violentemente il pancreas endocrino e mantenendo valori glicemici più costanti nel tempo. Il mais, ai fini glicemici, tiene un comportamento simile alla pasta con una curva forse ancora più fisiologica, quindi sarebbe assolutamente consigliabile nei pazienti con alterato metabolismo degli zuccheri se non fosse per il fatto che, al giorno d'oggi, è diventato difficile trovare della polenta che non provenga da mais manipolato geneticamente.

Una corretta funzionalità epatica è anche il fattore centrale nel trattamento delle stipsi, dove raramente l'intestino è il primo responsabile del disturbo. Si tratta, nella grande maggioranza dei casi, di un eccesso di riassorbimenti a livello colico con conseguente riduzione della peristalsi. Migliorare la funzionalità intestinale significa, prima di tutto, migliorare quella epatica, cioè risolvere il problema all'origine, cosa che nessun lassativo è in grado di fare.

Una corretta associazione alimentare per una persona che soffra di stipsi ostinata può essere: pasta al pomodoro o all'arrabbiata, 150 gr. di funghi trifolati, 2 kiwi oppure pasta e lenticchie, un uovo al vapore o al tegamino, una pera matura oppure tagliatelle con carciofi, insalata mista, un loto maturo. In queste associazioni alimentari si unisce il potere lassativo d alcuni cibi come i funghi, i kiwi, le lenticchie, il loto e la pera matura al leggero stimolo epatico dell'uovo a tegamino, ad esempio, supportato dalla quota di zuccheri della pasta ed anche della frutta. Lo stimolo sul fegato è un aspetto importante nella terapia della stipsi ma deve essere associato ad una quota adeguata di zuccheri perché il fegato possa svolgere il lavoro che gli viene richiesto.

Sulla base di quanto detto è evidente che una dieta (e per dieta si intende un regime alimentare e non qualcosa che debba per forza far dimagrire) ben fatta non può prescindere dalla presenza dei farinacei almeno una volta al giorno.

Il modo più corretto di gestire un bilancio energetico così delicato è fornire le giuste quantità di zuccheri in maniera costante, per quanto possibile. Nei primi giorni di trattamento vanno evitate le proteine animali, specialmente quelle della carne, dei formaggi e del pesce perché, per meccanismi diversi, richiederebbero alla cellula epatica una produzione di enzimi e sali biliari eccessiva dal momento che il suo massimo sforzo è difendersi dal sovraccarico cui è sottoposta. Quindi il razionale della fase iniziale della terapia non è dettato dalla necessità di mettere la cellula "a riposo", scelta non solo inutile ma addirittura controproducente, ma dal tentativo di crearle le condizioni per indirizzare quante più risorse possibili allo smaltimento delle sostanze per lei ( e per noi) tossiche. In molti casi si è cominciato a somministrare proteine animali dopo 3-5 giorni , scegliendo quelle dell'uovo. La paura "atavica" dell'uovo nelle patologie epatiche non ha fondamento pratico né scientifico. L'uovo è una cellula (a rigore una cellula staminale) le cui proteine sono ancora totalmente indifferenziate, di conseguenza sono le più facili da assimilare dal punto di vista biochimico e il contenuto in grassi non è tale da destare preoccupazioni. Più importanti, e di gran lunga, sono i vantaggi. Possiamo così fornire al fegato la proteina ideale per i suoi processi di rigenerazione cellulare.

In seguito i pazienti sono giunti ad assumere anche carni bianche e pesce che uniti alle verdure (in particolare carciofi, porri, cardi, fagiolini, zucchine, e insalata a basso contenuto di ferro) e alla frutta hanno completato in maniera armonica la loro dieta, assicurando un regime alimentare equilibrato e perciò utilizzabile a lungo. Si è però preferito continuare ad evitare latticini e carni rosse. Altri alimenti utili sono quelli con buon contenuto di molecole acide come agrumi e pomodori. L'acido citrico di cui dispongono è particolarmente utile per il sostegno dei meccanismi ossidativi della cellula epatica.

Un aspetto importante da tenere presente nel formulare una dieta, però, è la gestione della glicemia. Nell'intento di fornire una quantità adeguata di carboidrati, infatti, si può facilmente scadere nell'eccesso opposto e, per quanto paradossale a prima vista, questa eventualità può provocare una diminuzione di zuccheri per il fegato. Un simile fenomeno si spiega tenendo presente la fisiologia umana. Se creiamo un picco glicemico eccessivamente elevato la prima reazione dell'organismo è l'attivazione del pancreas endocrino che produce immediatamente insulina in gran quantità al fine di ridurre i livelli glicemici nel sangue. Il risultato di questo meccanismo è il "sequestro" di zuccheri nei muscoli e nel fegato stesso in forma di deposito (il glicogeno), quindi inattiva, e quindi un debito di energia da parte della cellula epatica.

Situazione ancora più complessa si crea, come è facile intuire, quando tutte queste considerazioni si devono applicare ad un paziente diabetico. In questi casi, infatti, l'impostazione della terapia nutrizionale presenta delle differenze sostanziali. E' inevitabile che la gestione di una dieta progettata per gli scopi esposti fino ad ora non possa essere lasciata "nelle mani" del paziente ma debba essere seguita da un medico.

E' necessario gestire con attenzione la somministrazione degli zuccheri perché il rischio maggiore è rappresentato dalla possibilità di provocare picchi iper-glicemici cui spesso segue una fase di ipoglicemia altrettanto marcata. Questo procedere non regolare della curva glicemica mette in crisi il fegato per le ragioni esposte in precedenza. E' esperienza clinica ormai consolidata osservare quanto raro sia un paziente con disturbi della glicemia e con un fegato funzionalmente in ordine, ulteriore conferma dello strettissimo legame fra i due organi.

Un altro aspetto importante nel trattamento nutrizionale è la via attraverso la quale agire sul pancreas, poiché esso è dotato di una attività esocrina e di un'altra endocrina ma anatomicamente è uno solo; attraverso la gestione della seconda si ottengono benefici anche sulla prima poiché le due componenti non sono affatto indipendenti. L'impostazione del trattamento nutrizionale, in questi casi, si fonda non sulla drastica riduzione degli zuccheri, come si sarebbe portati a pensare, ma sull'utilizzazione di quelli a lento rilascio. Non useremo quindi riso, patate o frutta, come nel primo caso, ma pasta e pane. Usare del pane con olio o del pane con prosciutto, per esempio, invece di pane e marmellata consente di rallentare ulteriormente l'assorbimento della componente glucidica perché la presenza di proteine e grassi provoca l'attivazione di sistemi enzimatici più articolati e quindi un più lento assorbimento intestinale.

Riguardo agli alimenti "acidi" è buona precauzione usarli con attenzione perché, in questo caso, troppe sostanze acide richiedono la produzione di gran quantità di bicarbonati da parte della testa del pancreas e ciò può creare disturbo alla ghiandola. Come si vede il trattamento, in presenza di uno stesso problema, è diverso perché diverso è l'organismo che si sta trattando. Non tenere in considerazione questo può significare il fallimento della terapia ma, soprattutto, un paziente che non migliora.

Il secondo punto della nostra discussione riguarda lo stato emotivo che spesso si accompagna ai disturbi della vulvodinia, l'alimentazione può lavorare con efficacia su questo aspetto. Il corretto uso dei carboidrati nei disturbi epatici ha effetti positivi non solo sull'organo e sul metabolismo in generale ma anche sul sistema nervoso per due importanti ragioni. Il sistema nervoso beneficia in maniera evidente di una buona funzionalità epatica. Se il fegato non funziona bene molte delle sostanze tossiche che processa chimicamente (attraverso i meccanismi di idrossilazione e di glucurono-coniugazione) rimangono in circolo con buone probabilità di attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere quindi il neurone.

La seconda ragione è data dalla presenza (soprattutto nella pasta e nel riso) di Triptofano, un aminoacido essenziale che in alcune ore viene trasformato dall'organismo in Serotonina che è fra i neuro-trasmettitori più importanti nei meccanismi di induzione del sonno. Inoltre sembra che la presenza di Triptofano favorisca il passaggio della barriera emato-encefalica da parte degli zuccheri, con intuibili vantaggi per l'approvvigionamento energetico di tutto il sistema nervoso centrale.

Tornando alla funzione sedativa dei carboidrati, ecco alcuni esempi di possibili pasti serali per soggetti irritabili o con problemi d'insonnia: linguine al pesto, 2 zucchine marinate, 150 macedonia di frutta con sei mandorle oppure riso alle erbe (condito con burro, parmigiano, rosmarino, salvia, basilico e prezzemolo), 2 belghe ai ferri, 1 mela cotta oppure penne all'arrabbiata o spaghetti con aglio, olio e peperoncino, 150 cavolfiore con aglio, olio e peperoncino, 150 gr. di valeriana in insalata. La prima considerazione è che sono state accuratamente evitate le proteine nel pasto della sera per non provocare una stimolazione tiroidea (che tutti gli alimenti proteici, più o meno, determinano), evento che contrasterebbe con il tentativo di favorire l'induzione al sonno o comunque con un effetto di rilassamento generale dell'organismo. La seconda è la presenza di una importante quota di zuccheri per le ragioni che abbiamo già elencato, anche se in uno dei tre pasti non è presente la frutta, per mostrare una possibile via di sedazione in un paziente con problemi glicemici. La terza è la presenza di alimenti con caratteristiche sedative come le mandorle, l'aglio, il rosmarino, la salvia e la mela cotta.

Una categoria di alimenti poco adatti alla sedazione nervosa sono i formaggi (specie quelli stagionati) che per varie loro caratteristiche tendono spesso a rendere, soprattutto con l'uso continuato e frequente, il paziente sensibilmente più irritabile.

Un accenno va riservato alla muscolatura periferica in cui l'ipercontrattilità rappresenta un fatto centrale nella vulvodinia. Gli alimenti utili sono quelli ricchi di potassio (che ha un'azione miorilassante) come zucchine, fagiolini, patate, pesche, banane, fragole. Inoltre si mostrando di una certa utilità il miglioramento dell'irrorazione periferica attraverso la fluidificazione del sangue con ananas (che ha anche buone proprietà antinfiammatorie) e i funghi e il trofismo del microcircolo con i frutti di bosco.


Analizziamo brevemente la funzionalità renale che va trattata tenendo conto del notevole contenuto di glutine della pasta di semola. Il glutine è un reticolo proteico che anche una volta scisso dagli enzimi digestivi rappresenta sempre una struttura di difficile gestione da parte dell'emuntorio renale. Quindi è preferibile alternare la pasta con riso e cereali o anche con la pasta all'uovo per "alleggerire" la funzione renale il più possibile, pur senza mai eliminarla per le ragioni abbondantemente esposte.

Alcuni esempi di pasto sono: tagliatelle al pomodoro, 120gr. di petto di pollo in padella, una belga cruda o 150 gr. di cicoria con aglio-olio e peperoncino, 150 gr. di fragole oppure 200 gr. di pesce lesso, uno o due finocchi crudi, 3 mandarini oppure 60 gr. di riso condito solo con parmigiano reggiano e 250 gr. di macedonia di frutta. Quest'ultima associazione può essere utilizzata quando si voglia provocare una stimolo diuretico forte in un paziente che non abbia, però, problemi di glicemia elevata, le altre due, essendo più equilibrate, garantiscono una maggiore maneggevolezza. In tutte e tre, comunque, il comune denominatore è il sostegno della diuresi ottenuto utilizzando alimenti con caratteristiche diuretiche come i finocchi, la cicoria, le belghe, i mandarini, le fragole ed il riso. In più vengono accuratamente evitati gli alimenti che possono complicare i processi di filtrazione renale come le carni rosse (manzo, cavallo etc.) perché molto ricche di "basi puriniche" poco gradite al glomerulo renale e le verdure molto ricche di sali minerali come gli spinaci, le bietole ed anche i minestroni di verdure che, contrariamente all'opinione di molti, possono essere di gran disturbo alla funzionalità renale per il notevole corredo di sali minerali che recano con sé.

Le associazioni alimentari fin qui descritte devono sempre essere inserite in un contesto clinico generale, che non solo non può essere sottovalutato ma che, invece, fornisce utili informazioni, al medico, sull'eziologia e la patogenesi di molti disturbi. Le schematiche regole alimentari fin qui esposte mostrano chiaramente quanto irrinunciabili siano i carboidrati nella regolazione delle funzioni vitali dell'organismo. La loro assunzione apporta sostanze che hanno principalmente l'effetto di fornire energia alla cellula consentendole lo svolgimento di una miriade di reazioni chimiche estremamente complesse e diverse che rappresentano, in una parola sola, la vita.

BIBLIOGRAFIA
  • Schiff L.: Diseases of the liver; Ed. Lippicott Co.
  • Pontieri G. M.: Patologia Generale; Ed. Piccin
  • Colombel et al.: Serological markers in IBD - Ed. Cisalpino
  • Guyton: Trattato di Fisiologia Medica - Ed. Piccin
  • Harrison: Principi d Medicina Interna - Ed. Mc Graw Hill